venerdì 16 gennaio 2009

Il ritorno di Dioniso

Il ritorno di Dioniso – Piacere e conoscenza nell’umanesimo psicologico ed esistenziale 29-31 maggio 2003-05-28
“Protezione e produzione delle coltivazioni tipiche. La conservazione del patrimonio rurale e storico”
Sintesi dell’intervento dell’assessore all’agricoltura della Provincia di Napoli, Enzo Falco

Cosa sarebbe la Penisola Sorrentina senza le pagliarelle a protezione della limonicoltura? Cosa sarebbero i Campi Flegrei senza la vite, peraltro, ancora su piede franco? Cosa Ischia senza i vigneti a 600 metri d’altezza? Cosa perderemmo se non avessimo, qui, proprio in Campania, il più ricco e ampio panorama ampelografico fatto di svariati vitigni che sono solo qui? Cosa sarebbe il Vesuvio e lo stesso Parco Nazionale senza le 80 diverse cultivar di albicocche? Senza i pomodorini al piennolo? Senza il Lacrima Christi? L’elenco potrebbe essere lunghissimo e potrebbe riguardare tutti i diversi territori in Provincia di Napoli o della Campania e perché no del mondo intero.Il mondo non sarebbe uguale; perderemmo qualcosa che non è solo il piacere di un gusto che ci piace perché diverso in ogni luogo (del mondo intero); perderemmo un patrimonio di biodiversità che è straordinario; perderemmo un patrimonio di conoscenze antico quanto il mondo; perderemmo la nostra stessa identità di persone, artefici positivi della propria storia.Eppure, negli ultimi 50 anni abbiamo perso circa 300 specie vegetali. L’alimentazione è legata a solo 30 specie vegetali e progressivamente si rischia di perdere un patrimonio di sapori e di saperi che è stato costruito in millenni di storia.Il rischio, che peraltro si appalesa come un’ulteriore guerra tra gli Stati Uniti e l’Europa sulla commercializzazione dei cibi geneticamente modificati, è di perdere ulteriormente terreno.Il problema è sempre, purtroppo, legato ai grandi interessi delle multinazionali che vogliono il controllo del mercato mondiale dell’alimentazione costringendoci a mangiare cose che non sanno di niente o tuttalpiù che hanno tutte lo stesso sapore. Come dire, mangiamo sempre hamburger fatto con carne dello stesso sapore, insalata uguale dappertutto, vino che sa sempre di nulla (casomai lo si fa un po’ più scuro, un po’ più acido, un po’ meno alcolico).Vogliono rubarci anche l’anima. In nome di un business che riguarda e riguarderà sempre e solo pochi gruppi di potere economico.Scomparirà la mela annurca e i melai dove vengono arrossate, scomparirà la ciliegia di Chiaiano, scompariranno i friarielli. Assieme a loro scompariranno le identità territoriali ed anche gli uomini e le storie che hanno nel tempo costruito quelle identità.Viene in mente la storia di Mario D’Ambra, splendidamente scritta da Manuela Piancastelli per Veronelli Editore. La storia di un uomo che ha fatto grande l’enologia ischitana e ha rischiato di perdere tutto per un accordo commerciale con una multinazionale svizzera che era interessata (al business in particolare) all’acqua termale più che al vino e aveva costretto l’azienda addirittura a fare un vino “vergognoso” per il mercato americano, snaturando la vera forza del vino ischitano che è quello di essere espressione vera di un territorio, bellissimo, affascinante costruito da uomini che hanno versato lacrime e sangue per farlo diventare quello che è oggi.L’agricoltura, la cultura della ruralità non è importante solo ed esclusivamente per i beni prodotti, ma ha un valore storico, naturalistico, ambientale, paesaggistico, di manutenzione del territorio, di presidio del territorio.Ecco che allora la strada da seguire non è solo quella di opporsi ad un modello di sviluppo che aggredisce,distrugge, snatura, in nome di una ricchezza che riguarda pochi. Il modello da seguire è quello di guardarsi indietro, recuperare le fortissime identità storiche dei luoghi, le colture che hanno da sempre caratterizzato quei luoghi, rifarli diventare belli, rimettere amore nella cura di noi stessi e quindi in ciò che ci circonda.Dobbiamo incominciare ad abbattere i “mostri” che sono nei nostri territori e che sono altresì in noi stessi; dobbiamo recuperare i nostri casolari (possibilmente in funzione agrituristica) perché rappresentano un valore storico ed architettonico straordinario; dobbiamo ripristinare, ad esempio, le viti maritate ai pioppi (anche se non danno grandissimi vini, nonostante il successo dell’asprinio d’Aversa), ripristinare la coltivazione del pomodoro San Marzano, delle albicocche vesuviane, dei pomodorini al pieno, dei friarielli, dei mille diversi fagioli, delle mille pere, delle mille mele. Dobbiamo ritrovare il piacere ed il gusto di mangiare il pane che sa di pane, dei cocomeri che sanno di cocomeri, della frutta che sa di frutta, del pesce azzurro che non può che essere fresco a differenza di tantissime specie che invadono in modo omologante i nostri mercati. Ma dobbiamo avere chiara l’idea che questi buoni prodotti, consumati nella stagione giusta, devono costare un po’ di più e questo qualcosa in più deve rimanere nelle mani dei piccoli agricoltori che in tutto il mondo hanno fatto una scelta d’amore ma che non possono essere penalizzati per questo. L’amore che mettono nei loro prodotti lo ritroviamo esattamente nei sapori e nella sicurezza alimentare e quindi è giusto restituire loro il riconoscimento economico e sociale che gli spetta.Attenzione non si sta proponendo di tornare indietro nel tempo, all’età della candela. Anzi, questo processo di recupero dei prodotti, del patrimonio rurale e storico passa anche attraverso l’innovazione tecnologica, la ricerca scientifica e la modernizzazione. Sarebbe impensabile ripristinare la coltivazione della canapa (che ha una storia stupenda in Campania) e tornare alle immani fatiche di una volta quando c’erano i “lagnatari” che facevano innumerevoli immersioni sott’acqua per sommergere i fasci di canapa per farla macerare. Dobbiamo lavorare insieme per cercare soluzioni certe e naturali anche in termini di sicurezza e dignità dei lavoratori della terra. Ma non possiamo cedere alle lusinghe del prodotto alimentare “industrializzato” che ci porta ai danni della “mucca pazza” o ai prodotti alla diossina. Sulla nostra salute non c’è negoziazione possibile.Bisogna ritornare ad un concetto di sviluppo che dia certezze, duri nel tempo, anche a beneficio delle future generazioni, che sia armonico con la natura, che dia piacere, felicità e qualità della vita. In questo “il ritorno di Dioniso” può darci una mano…